Gianfranco Cabiddu: cinema e tradizione

Gianfranco Cabiddu: cinema e tradizione
di Ivan Murgana

Lasciare la sua terra quando era solo un ragazzo ha contribuito ad avvicinarlo ancora di più alle proprie origini, osservare i mostri sacri del cinema italiano dietro la cinepresa, gli ha insegnato il mestiere di regista. Ieri i suoi lavori hanno fatto incetta di premi in giro per il mondo: oggi si attende che anche la sua ultima fatica arrivi sul grandeschermo. Gianfranco Cabiddu getta la maschera, ripercorre i momenti più significativi della sua carriera, e traccia un solco che serve a distinguere la tradizione dal folclore.

Gianfranco Cabiddu: cinema e tradizione

Raccontaci il passaggio da tecnico del suono a regista e sceneggiatore.
Ho sempre fatto il musicista e il tecnico del suono, e naturalmente frequentando i set cinematografici ho finito per avvicinarmi al mestiere di regista. Ho avuto la fortuna di stare a contatto con grandi professionisti: quello che so oggi lo devo a loro.

Nella tua carriera hai avuto modo di incontrare grandi personalità del cinema e del teatro, come Eduardo De Filippo, Vittorio Gassman, Dario Fo e Carmelo Bene: chi ti ha impressionato di più?
È impossibile non restare impressionato dalla bravura di questi maestri, uno in particolare però e riuscito a marchiarmi a fuoco: è Eduardo, uno che aveva la capacità di concepire l’arte in maniera diversa dagli altri. Ho lavorato con lui per cinque anni, li ricordo con tanta emozione.

Gianfranco Cabiddu: cinema e tradizione

In Disamistade hai lavorato con Maria Carta, icona del folk sardo: un ricordo.
La conobbi prima di girare il film, da musicista, quando lei aveva già recitato per altri registi. Quando le proposi di interpretare il ruolo della madre sarda accettò subito: da allora nacque una bella amicizia che durò sino alla sua prematura scomparsa. È stato un onore lavorare con lei e averla come amica.

Un attore del passato che avresti voluto dirigere.
Mi ritengo fortunato perché ho avuto la possibilità di collaborare con attori fantastici, ma di sicuro mi sarebbe piaciuto fare un film con Marcello Mastroianni, un uomo di grande dolcezza, a mio parere tra i più grandi attori del cinema italiano del novecento.

Non faresti mai un film su cosa.
Su un argomento che non mi trasmette nessuna emozione.

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Hai documentato danze e rituali di Paesi lontani come l’India e Bali: hai scoperto delle analogie con la tradizione isolana?
Sicuramente nello spirito con cui si cimentano nella danza o vivono i momenti di festa. Ogni popolo è paese, ovunque si possono vivere situazioni coinvolgenti e fare incontri capaci di stupirci.

I tuoi film sono caratterizzati da una forte impronta antropologica, ma la cultura dei sardi conserva ancora i tratti della tradizione autoctona o si è ridotta a mero folclore?
La nostra terra conserva una grande cultura, spesso purtroppo nascosta; il rischio che la tradizione si tramuti in folclore esiste, questo è certo, ma non si può generalizzare. Anche se, a dirla tutta, fa un po’ di tristezza vedere le maschere del carnevale barbaricino sfilare in Costa Smeralda per ferragosto: mi ricordano i polinesiani che mettono le ghirlande ai turisti.

Spesso i film dei registi isolani trattano temi che esaltano l’identità sarda, cosa bisogna fare per non cadere nel banale?
È necessario avere qualcosa da dire. Per un regista è fondamentale la sincerità, senza la capacità di raccontare storie di vita cariche di umanità, si rischia di avere un approccio sbagliato con il cinema.

Gianfranco Cabiddu: cinema e tradizione

Sei il creatore di Sonos e Memoria, l’affresco emotivo di suoni e immagini nato dalla collaborazione con i più importanti musicisti sardi che riscosse un grande successo alla 52 Mostra del Cinema di Venezia, ma se dovessi associare un immagine della tua vita a un suono, cosa ne verrebbe fuori?
Ho in mente un prato di campagna, in sottofondo si possono sentire i suoni ancestrali di un gregge lontano e le campane della chiesa di un piccolo paese.

Dove nasce l’idea per dare vita a nuovi documentari?
Dall’esigenza di voler capire, e poi raccontarlo agli altri, che cosa c’è dietro un determinato fenomeno o quale emozione si nasconde in uno dei tanti aspetti del mondo.

Al di là dei premi vinti e della critica, quale pensi sia il tuo lavoro migliore?
I premi sono importanti, perché sono la conferma che il tuo lavoro è apprezzato, ma la cosa che più conta è arrivare alla gente e donarle un’emozione, che si trovi in un paesino della Sardegna o a New York non è importante. Sonos e Memoria ha girato il mondo, e tra i miei film è probabilmente quello a cui sono più affezionato.

Rimpianti.
Avrei bisogno di tre vite per portare a termine tutti i miei progetti, ma non ho grossi rimpianti: non si può avere tutto il tempo per concretizzare le proprie idee.

Quando ti rivedremo al cinema?
Spero presto, stiamo lavorando su una commedia di Eduardo: può sembrare strano ma si può raccontare la Sardegna anche utilizzando le parole di un grande drammaturgo napoletano.